A cura di Alan D. Altieri, considerato il maestro italiano dell'action-thrillier.

Un tempo era un giardino. Montagne impervie, certo. Ma tra esse, vallate fertili e fiumi possenti, pianure rigogliose e città affascinanti. Adesso è nient’altro che un tragico labirinto di rocce dilapidate, eterni ghiacciai, montagne inaccessibili, deserti annientati, rovine macellate.Effetto di una qualche catastrofe globale? Sbagliato. Opera dell’uomo. Quasi sette secoli fa, dopo il passaggio del più grande sterminatore di massa della storia conosciuta, un essere mostruoso chiamato Timur Lenk - più famoso e famigerato sotto il nome di Tamerlano - il luogo oggi chiamato Afghanistan è un frammento della faccia oscura della Luna emerso sulla superficie della Terra. Prima e dopo Tamerlano diversi conquistatori e imperi hanno cercato di impossessarsi di quel Paese, splendido ma per certi versi maledetto. Tutti quegli imperi hanno cessato di esistere. L’Afghanistan è stato il loro sepolcro. È da questo assunto storico, tutt’altro che agevole, che prende le mosse il temerario, iconoclasta, lavoro di Filippo Pavan Bernacchi che state per leggere. Solidissimo narratore di intrighi bellici - da non dimenticare il suo esplosivo, a tutt'oggi profetico “Non uccidete Bin Laden” - con “Roccaforte Afghanistan” l’autore torna non solo alle sue tematiche primarie, che ruotano attorno agli uomini in guerra, ma le allarga a una sorprendente e inaspettata prospettiva storico-religiosa. Tra soldati tutti d’un pezzo o disillusi, mercenari senza scrupoli, scienziati corrotti e agenti segreti granitici, Pavan Bernacchi costruisce un affresco policromo e spiazzante, polimorfo e agghiacciante. Romanzo al cui fulcro c’è l’eterno scontro contro un nemico ancestrale e, forse, invincibile: il Moloch dell’umana follia.

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